Monza. Estate 1879. Dalle vetrate della sua splendida residenza estiva, la regina contemplava in silenzio ciò che stava accadendo all’ingresso dei propri giardini. La vita di corte proseguiva nella sua quotidianità, e non sarebbe cambiato niente rispetto al giorno prima, se non fosse stato per quell’incontro che una sua dama le stava caldeggiando ormai da tempo. Stava aspettando un ragazzo, un giovane musicista toscano. In quell’attesa ebbe modo di riflettere. Pensò al destino, tragico e ironico allo stesso tempo.
Lei non doveva trovarsi lì in quella villa, in quel momento, poiché colui che sarebbe diventato suo marito, il re Umberto I, avrebbe dovuto sposare la principessa austriaca Matilde d’Asburgo-Teschen.
Ma un velo nero di fatalità fu steso sulla diciassettenne asburgica, facendola perire a causa di una sigaretta, forse nascosta, di certo non spenta, che ne incendiò il vestito indossato. Da qui, casa Savoia, aveva deciso di virare sulla cugina di Umberto, proprio lei, Margherita.
Col tempo diventò una regina molto amata.
Abbellì il palazzo del Quirinale a Roma, e vi organizzò svariati eventi mondani. Lanciò mode, promosse arti, e fu musa ispiratrice di poeti come Giosuè Carducci. Ma non solo, finanziò la costruzione di diversi orfanotrofi e ospedali.
Per questo qualcuno la definisce una Lady Diana ante litteram, e forse non ha torto. Anche lei dovette subire l’onta di non essere l’unica donna nella vita del re. C’era quella duchessa Litta Visconti Arese.
Non servivano i sotterfugi utilizzati da Umberto, come il passaggio segreto all’interno dei suoi appartamenti, per uscire di nascosto dal palazzo, e raggiungere la villa della sua amante situata a Vedano, a pochi chilometri da Monza. No. Margherita sapeva.
Purtroppo il suo ruolo all’epoca le imponeva di tacere, ma riuscì in qualche modo ad avere voce in capitolo, circondandosi di letterati e di persone di cultura. Fu certo più popolare e spesso più rispettata del marito. Basti pensare che ovunque andasse le veniva dedicata una specialità locale. Su tutte, la pizza Margherita.
D’un tratto smise di viaggiare con la mente e ritornò davanti a quella finestra. Un rumore di passi la fece voltare. Vide il ragazzo entrare. I suoi indumenti evidenziavano il ceto sociale non elevato al quale apparteneva, ma sapeva comunque vestire e muoversi con un’eleganza fuori dal comune.
Sembrava camminare accompagnato dalle note scritte da lui, che Margherita aveva avuto più volte il piacere di ascoltare. La regina gli sorrise e con dolcezza gli chiese: ‘’quanti anni hai?’’ ‘’ventuno, maestà’’ rispose il giovane.
Aveva ventun’anni e un sogno nel cassetto: essere ammesso al conservatorio di Milano. L’istituto era costoso e il ragazzo non poteva sperare di entrarci. La fortuna però bussò alla sua porta sottoforma di una dama di compagnia della regina. Questa infatti conobbe la madre del giovane durante un soggiorno in Toscana, e grazie alla sua intraprendenza, riuscì ad organizzare l’incontro.
La regina indicò il pianoforte. Il ragazzo capì. Non doveva esprimersi con le parole, bastava la sua musica.
Quando mise le mani sullo strumento, a Margherita parve di sognare. Non esistevano più i problemi: niente anarchici, niente tradimenti, niente… solo una bellissima melodia che sapeva incantare.
Fu un momento magico.
Nell’attimo del congedo la regina si convinse: avrebbe finanziato lei la borsa di studio di lire 100 mensili per permettere a quel ragazzo di entrare in conservatorio.
La mossa si rivelerà lungimirante.
Margherita di Savoia guardò il giovane, di nuovo da quella finestra mentre lui a passo svelto, entusiasta, abbandonava la Villa Reale di Monza, passando dal viale principale.
Fu in quel momento che si materializzarono parole apparentemente sconnesse: ‘’Boheme’’, ‘’Madama Butterfly’’, ‘’Tosca’’, ‘’Turandot’’.
La regina chiamò a sé la sua dama di corte, e scrutando l’orizzonte le domandò: ‘’Qual è il nome di quel ragazzo?’’ ‘’Giacomo maestà. Il suo nome è Giacomo Puccini’.