Gaetano Bresci e il re. Monza. Lo stesso giorno in cui a Forlì, Benito Mussolini, una testa calda d’adolescente festeggiava il compleanno, di sera un anarchico toscano diede chiara dimostrazione che il secolo svoltava, rivoluzionando ogni illusione del positivismo, o almeno, declinandole nella realtà di una immaginata rivoluzione proletaria o anarchica

Sono gli anni delle rivolte, delle città con i nuovi disegni architettonici. I vicoli spianati: viali larghi, buoni per le passeggiate borghesi ma anche per usare il cannone durante le rivolte.

Sono gli anni del primo maggio, l’unico giorno in cui i borghesi stanno a casa e le città le prendono i lavoratori. Socialismo e soprattutto gli anni dell’anarchia. Quelle storie turbolente fatte di uomini con addosso la rivoluzione a prescindere come dimostrano i dentro e fuori dai carceri di Bresci e le sue permanenze all’estero, nelle Americhe in particolare, dove la colonia anarchica era numerosa.

Due anni prima, Bava Beccaris era stato decorato per aver sedato con il sangue (e il cannone) una tipica rivolta per il “pane” milanese, che di politico aveva poco. Proprio quella medaglia ad un assassino di popolo e popolane era quello che voleva vendicare il trentunenne di Prato, davanti alla Villa Reale di Monza. O meglio, davanti alla Forte e Liberi, dove il re aveva appena assistito ad una esibizione.

Una vendetta premeditata, che aveva portato l’anarchico prima a Milano, in una camera in Via Dell’Orto, e poi a Monza, in Via Cairoli. Era stato facile, alla fine, il regicidio. Aspettare la fine dell’esibizione, mischiarsi alla folla che si accalcava attorno al re, salire su una sedia e sparare.

Una vendetta che ci fu. Un re che morì fra dolore popolare vero e tanta retorica, lasciando senza soluzione comunque i problemi che avevano portato a incontrarsi un Sovrano e un misero popolano.

Gaetano Bresci e il re. Al processo, un mese dopo, l’anarchico si presentò con la cravatta rossa, e parole di rivoluzione.

Era l’alba del novecento che si apriva. Con il colore del sangue, come il secolo sarebbe proseguito.